Sfide dell'architettura: "ora e per sempre"

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Cinquant’anni fa sarebbe stato possibile leggere di precarietà della vita solamente in qualche rivista filosofica, con notevole complessità nei termini, legati a riflessioni sull’esistenza e sul suo significato. Ma in questo mezzo secolo il mondo si è trasformato profondamente, con una velocità nuova nella storia dell’uomo: la precarietà oggi è uno status assai diffuso con cui dover convivere e lottare, alla ricerca di se stessi e della propria identità. Il sociologo Bauman definì liquida la nostra società, proprio per indicare quella condizione di grande incertezza e indeterminazione che ha pervaso ogni ambito dell’umanità.

La precarietà, come condizione di vita, si esprime nei settori più disparati: il lavoro, che induce, in civiltà evolute, a cambiare la propria occupazione molte volte nell’arco di un intero percorso professionale; o la vita di coppia, con il riconoscimento sociale di nuove unioni flessibili, spesso limitate nel tempo e reiterate più volte; o i trasferimenti di lavoro, per cui si è costretti a cambiare periodicamente località per questioni di carriera, per non parlare del fenomeno migratorio di chi non riesce a trovare lavoro. Questa precarietà determina, ovviamente, una serie di conseguenze, alcune delle quali tangibili, altre introspettive, ma non per questo meno evidenti. Probabilmente l’abitare ha subito più da vicino i contraccolpi dello sgretolarsi della stabilità di vita che aveva caratterizzato per tanto tempo il modus vivendi occidentale. Precursore di questa riflessione, espressa in alcune nicchie della società giapponese degli anni ’70, è stato il movimento metabolista e l’architetto Kurokawa, che arrivò a teorizzare il neo‐nomadismo, per definire la condizione di alcuni lavoratori della Tokyo di quegli anni.

Con il celebre progetto Nakagin Capsule Tower, l’architetto giapponese realizzò un edificio in cui ogni abitazione è stata pensata e realizzata come modulo intercambiabile, con la possibilità di portarsela via con sé in caso di trasferimento in altra sede. Un’idea avveniristica, che anche oggi potrebbe trovare riscontri in una reale esigenza da soddisfare. La società dei consumi, vincente proprio perché in grado di dare risposte ai bisogni dell’individuo, ancora non è stata in grado, perlomeno in Europa, di sviluppare una nuova formula abitativa più conforme alle dinamiche frenetiche del cambiamento che caratterizzano la vita umana.