Cantina Bertani, Verona

La riqualificazione di 800 metri quadrati dedicati all’accoglienza, su progetto dello studio Westway Architects, omaggia la tradizione vinicola dotando di nuova funzionalità e bellezza spazi datati e precedentemente inutilizzati.
Fondata a pochi passi dal cuore di Verona nel 1857 dai fratelli Giovan Battista e Gaetano Bertani, oggi parte di Angelini Wines & Estates, la storica cantina Bertani della Valpolicella, anche conosciuta come “l’Architetto dell’Amarone,” inaugura un nuovo capitolo con la riqualificazione di 800 metri quadrati dedicati all’accoglienza.
Il progetto di ripensamento degli spazi, a cura dello studio Westway Architects – Luca Aureggi, Maurizio Condoluci e Laura Franceschini –, aggiudicatosi lo scorso ottobre il Trofeo Saint-Gobain Gyproc Italia nella categoria Innovazione, pone sapientemente in dialogo l’arte del vino e il suo valore culturale con il fascino di un’architettura a metà tra tradizione e contemporaneità. L’intervento rinnova infatti la metratura con attenzione alle esigenze funzionali dell’oggi, volgendo tuttavia uno sguardo al rilevante passato della realtà vinicola, giungendo così ad un restauro meticoloso che è stato in grado di valorizzare gli elementi storici del posto e i dettagli tratti dagli archivi dell’azienda, oltre ad evocare le atmosfere del territorio veronese grazie ad accurate scelte materiche e cromatiche.
Sul fronte funzionale, la riqualificazione ha riportato alla piena fruibilità di alcuni spazi della cantina dapprima inutilizzati, rendendo possibile immaginare e organizzare differenti percorsi di visita ben strutturati che permettono ai visitatori di scoprire e apprezzare ogni angolo della struttura.
SPAZI RIQUALIFICATI
La ristrutturazione ha dotato la Cantina Bertani di tre sale di accoglienza - Sala Fondatori, Sala Archi, Sala Torchi - con diverse dimensioni e vocazioni, ma tutte connesse attraverso un unico pavimento in cemento acidificato di manifattura artigianale.
La sala Fondatori viene ripensata con una importante divisione mobile che permette di viverla in due ambienti separati o nella sua totalità, pur mantenendo le proprie autonomie funzionali di sala degustazione e sala riunioni vera e propria. Da questa sala è visibile il corridoio che accoglie la maestosa parete con gli storici serbatoi in cemento. La parete non è solo un dettaglio architettonico, ma diventa parte integrante dell’esperienza visiva, un filo conduttore che unisce e armonizza ogni ambiente, invitando a scoprire le radici storiche e la contemporaneità della cantina.
Nella sala centrale chiamata Archi, proprio in virtù delle suggestive arcate storiche che la caratterizzano, appartenenti ad un vecchio fabbricato ora integrato all’interno, si sviluppa un percorso visivo e museale che racconta la storia tangibile della cantina. Da qui, è possibile accedere alla cantina storica, scendendo una scala impreziosita da una sequenza di ceste in vimini originali, un tempo utilizzate per la vendemmia e installate a parete come se fossero un’opera d’arte.
La sala Torchi ospita poi un’area conversazione con divano e sedute, e un ampio tavolo per la convivialità, completati da due torchi, custodi del passato e delle radici della lavorazione vinicola.
Un sofisticato progetto di illuminazione valorizza la matericità delle pareti, esaltandone i dettagli e le texture, garantendo al tempo stesso una visione ottimale degli elementi del percorso museale. Sono stati recuperati preziosi oggetti della produzione storica dell’azienda come gli stencil con cui si imprimevano i testi sulle casse in legno e vengono utilizzati per produrre con effetti di ombra degli interessanti sistemi di comunicazione visiva che usano la trama della parete come fondo su cui stagliarsi.
Questo sistema luminoso, combinato con una segnaletica visiva accuratamente integrata, accompagna il visitatore in un’esperienza coinvolgente, completando il viaggio esplorativo all’interno degli spazi.
Maurizio Condoluci di Westway Architects, racconta: "Progettare gli spazi in cui accogliere chi visita una cantina così importante per la storia che rappresenta, oltre che per la qualità del vino che produce, ha comportato la necessità di interrogarci su come l'architettura possa raccontare la profondità storica e al contempo la cifra di un lavoro fatto di uomini che con le mani ci hanno consegnato idealmente tutto ciò. Per questo, le finiture delle pareti e dei pavimenti sono state scelte in quanto capaci di evidenziare il lavoro dell'uomo nel farle.
Negli archivi storici della Cantina, poi, ho ritrovato tutta una serie di strumenti di lavoro, oramai non più in uso ma che, invece, opportunamente esposti, sono capaci di raccontarci di un lavoro fatto con altri tempi, con la lentezza di una diversa sapienza, di decisioni e soluzioni forti e nette, incise nel metallo, per scrivere su casse di legno il proprio nome o la destinazione di viaggio di quel vino. Così, mi è sembrato, di poter recuperare tutto il tempo di una storia d'azienda, per averlo a disposizione davanti ai nostri occhi quando visitiamo questi spazi, immergendoci in questa profondità artigianale e culturale".
Ph. © Andrea Martiradonna