Un palazzo seicentesco a Mondovì

L’immagine della Mondovì di oggi è validamente rappresentata dalla Nuova Funicolare, realizzata nel 2006 su design Giugiaro e simbolo di collegamento tra storia e contemporaneità.

Lo stesso legame tra passato e futuro è rappresentato dal restauro degli affreschi di Andrea Pozzo, svoltisi in grande cantiere-evento gemellato con quelli di Trento e Roma, a rappresentare l’attenzione volta al patrimonio artistico e che ha elevato Mondovì a “Città d’Arte e Cultura”. La collaborazione della cittadina con Slow Food è poi indicativa di come le tradizioni siano tutelate in ogni loro aspetto.

Una città la cui storia appare segnata dalla posizione in cui sorge: un colle ripido e fitto di boscaglia, per queste caratteristiche scelto dai romani per un nuovo insediamento militare che, nei secoli, diviene centro di aggregazione per genti votate all’indipendenza.

E Mondovì, orgogliosa di queste sue radici, a tutt’oggi riconosce in Piazza Maggiore il suo centro, la rappresentazione della propria identità, dedicando una particolare attenzione al recupero architettonico.

La ristrutturazione che andiamo a descrivere riguarda proprio un palazzo seicentesco di Mondovì, situato in Via delle Scuole, la strada che collega Piazza Maggiore al Belvedere sulla sommità della collina.

Inserita nello splendido contesto del borgo medioevale, la ristrutturazione ha previsto un intervento organico, rivolto alla realizzazione di spazi con destinazione turistico-ricettiva con la creazione di sei appartamenti differenti per taglio, ma accumunati da elementi dal carattere forte.

I proprietari, lei curatrice d'arte e lui manager, per la verità avevano pensato di acquistare solo il piano alto del palazzo, per riservarsi un luogo affacciato sui tetti della cittadina e sulle vicine Alpi Liguri, ma presto sono stati coinvolti in un più complesso progetto - proposto dagli architetti Marco Manfredi ed Elena Casu dello studio associato Manfredi Casu - finalizzato ad una rispettosa ristrutturazione dell’intero immobile a scopo turistico-ricettivo.

Da un'analisi attenta dell’esistente e dalla lettura puntuale di tutti gli ambienti, compresa la scala comune di collegamento, gli architetti avevano infatti rilevato particolari architettonici estremamente interessanti, peraltro celati dai vari interventi dell'ultimo secolo che avevano spogliato l’immobile dell’originaria atmosfera e carattere.

«Come prima cosa avevamo bisogno di ritrovare il disegno originario del progetto» commenta Marco Manfredi, mentre Elena Casu specifica: «Bisognava togliere tutto il superfluo. Via tramezzature, stratificazioni di intonaco, cannicciati. Abbiamo quindi cercato di valorizzare al meglio gli spazi, rendendoli fruibili per i turisti, ma mantenendo il “sapore” del palazzo: elegante, sobrio, mai scontato.»

Tutto il lavoro di recupero è stato caratterizzato dall’estremo rigore nella ricerca dell’impianto originale per poi, nelle finiture, tornare a legare insieme il tutto: pavimenti in legno a disegno Bruno Parquet, soffitti voltati e a cassettone, stipiti, porte, più tutta una serie di dettagli “recuperati” e lasciati a vista. Per esempio un solaio ligneo di pregevole fattura, trattato a calce; varie “nicchie”, riaperte e valorizzate come spazi di servizio; una muratura in mattone antico, risanata e completamente recuperata, a incorniciare il giardino.

Gli arredi, in parte disegnati su misura dagli architetti, sono stati completati con pezzi antichi, provenienti da collezioni di famiglia ma anche recuperati in negozi vintage e mercatini.

 

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