La dimensione urbana del colore
Azzurra Bimbi, Esmalglass-Itaca Group
Il moto impetuoso con cui gli spazi urbani stanno crescendo troppo spesso non tiene conto di una importante esigenza, cioè quella di garantire decoro e bellezza: non si tiene conto di quanto questi fattori siano legati direttamente con la percezione della qualità della vita. Ci è familiare come i piani di recupero abbiano l’obiettivo di rendere gli hinterland più efficienti, ecosostenibili e a misura d’uomo, ma forse non ci è altrettanto chiaro che le periferie debbano essere anche più belle. L’uomo ha sempre avuto bisogno di abbellire i luoghi in cui viveva, la ricerca della bellezza è sempre stata importante tanto quanto l’esigenza di nutrirsi, di proteggersi e di evolvere. Il colore, asservito alla riqualificazione dei luoghi, è spesso presente, ma probabilmente se ne sottovalutano le potenzialità se non è riuscito ancora a conquistare nella nostra cultura il ruolo fondamentale che gli si conviene.
“Il punto di partenza è lo studio del colore e dei suoi effetti sugli uomini”, scriveva Vasilij Kandinskij nel 1912 in “Lo spirituale nell’arte”.
Deve aver pensato a questo Edvin Rama – l’affermato artista albanese divenuto sindaco di Tirana nel 2000 e poi Primo Ministro dell’Albania nel 2013 – quando, appena eletto primo cittadino della capitale, iniziò un importantissimo intervento di recupero della città. Oltre a demolire edifici abusivi e recuperare spazi sociali e importanti aree verdi, il sindaco-artista usò il colore come principale strumento di cambiamento sociale, capace di trasformare la rassegnazione e l’indifferenza ormai croniche degli abitanti di Tirana in rinnovata fiducia e speranza, senso di identità e orgoglio nei confronti della propria città.
Alle architetture storiche della capitale, già ricche di modanature e decorazioni, fu restituito il colore originario (o supposto tale), mentre gli edifici più moderni diventarono vere e proprie tele al servizio di artisti contemporanei. Le facciate di case e palazzi si colorarono di tonalità sgargianti e accese, spesso con accostamenti bruschi e inediti per sottolineare ancora di più la rottura con il mesto grigiore ereditato. Ridipingere interi quartieri in un caleidoscopio di colori produsse l’effetto immediato di risvegliare le coscienze, definendo anche un nuovo codice di comunicazione sociale. Il colore, usato da Rama sia in chiave artistica che come forma di azione politica, aveva fatto dell’arte un nuovo collante sociale.
Un altro esempio di trasformazione urbana attraverso l’uso del colore è il progetto “Favela Painting” dei due artisti olandesi Jeroen Koolhaas e Dre Urhahan (noti come Haas&Hahn). Giunti a Rio de Janeiro nel 2004, Koolhaas e Urhahan proposero un intervento di recupero della favela di Vila Cruzeiro, purtroppo tristemente famosa per l’alto livello di criminalità. Avvalendosi del loro talento e dell’uso creativo del colore, trasformarono la baraccopoli in quella che fu universalmente riconosciuta come una galleria d’arte en plein air, contribuendo ad un rinnovato senso di appartenenza dei suoi abitanti. Allo stesso modo, il colore giocò un ruolo fondamentale nei successivi interventi di Haas&Hahn, come Germantown Avenue, nel quartiere nord di Philadephia, che rinacque nel 2012 in un coloratissimo dipinto murale che si estende su 54 edifici; o come Vila Rosa, quartiere di Port-au-Prince, Haiti, dove le casette, ricostruite dopo il terremoto del 2010, furono tutte ridipinte secondo uno schema cromatico che, ispirato agli sgargianti colori locali (e condiviso con i singoli proprietari), creò un effetto unificante e di collegamento tra gli edifici.
Se ci spostiamo dall’ambito dei progetti artistici a quello del recupero architettonico, il colore continua ad essere protagonista di un numero infinito di interventi.
È certamente in chiave multicolor il recupero del Mercato di Santa Caterina a Barcelona nel 2005 dello Studio Miralles Tagliabue EMBT: una copertura morbida, dinamica, come una tenda mossa dal vento, fatta di scaglie ceramiche dai colori vitaminici. Non si poteva non tenere conto dell’ambiente vitale e multisensoriale in cui si interveniva, né del contesto architettonico della piazza. Questo cuore antico e quasi sopito del quartiere de La Ribera è tornato così a pulsare tanto da innescare un moto di recupero anche negli edifici circostanti che prima parevano incancreniti.
Ma tra gli interventi decisamente più emblematici, il colore è il mezzo attraverso il quale nel 2010 lo studio Renzo Piano Building Workshop Architects ha restituito alla città di Londra l’area del Central Saint Giles. L’edificio originario era un grande volume monolitico e opaco, situato in una posizione nevralgica del tessuto urbano londinese. L’intervento di rigenerazione urbana ha proposto un grande volume frastagliato da una serie di tagli plastici. Il complesso multifunzionale viene percepito così come composizione di parti, identificate ciascuna per il colore sempre diverso delle facciate. Il colore crea quindi diversificazione, ma anche ordine e completezza, e diviene trait-d’union della composizione architettonica. Per Renzo Piano è cara la parola “sorpresa”: è antidoto alla monotonia degli ambienti urbani. Ci insegna che gli edifici non devono prendere possesso del territorio su cui insistono, ma “restituire alla strada ciò che la strada merita”. In questo senso l’espressione cromatica rappresenta la risposta di un’architettura che dialoga e che si dichiara aperta verso lo spazio sociale collettivo: il colore è la risposta dell’edificio a “quell’organismo miracoloso che è la città, dove tutto deve essere partecipazione, senso di appartenenza e urbanità”.
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